giovedì 20 novembre 2008

SCANDALI, VIOLENZE E RESISTENZA SOCIALE. LA COLOMBIA IN EBOLLIZIONE

Sul numero 81 di ADISTA del 22 novembre del 2008-11-20

34698. BOGOTÀ-ADISTA. Venti di protesta soffiano sul Paese più conservatore dell’America Latina, quella Colombia divenuta il più fedele alleato degli Stati Uniti nel subcontinente. La “Minga nazionale di resistenza indigena e popolare” (mobilitazione che ha preso avvio il 10 ottobre scorso, v. Adista n. 75/08) prosegue il suo cammino con rinnovato slancio, dopo il fallimentare incontro del 2 novembre a Cali con il presidente Álvaro Uribe. Rivendicando un dialogo “senza menzogne e senza minacce”, la Minga si dà nuovamente appuntamento “per le strade della Colombia”, puntando verso la capitale (a 500 chilometri di distanza da Cali), dove, come ha informato il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca (Cric), si svolgerà “una grande e festosa mobilitazione sociale per ricordare al mondo che il dibattito tra Uribe e la Minga di Resistenza Sociale e Comunitaria è aperto” e che “il popolo colombiano esige risposte” che assicurino il rispetto dei diritti umani e dei fondamenti della Costituzione del 1991. Ad ogni tappa della marcia - rende noto la Onic (Organizzazione Nazionale Indigena della Colombia) - le comunità locali, insieme alle organizzazioni sociali, ai movimenti ecologisti e per la difesa dei diritti umani, ai sindacati, accolgono il popolo in cammino sotto lo sguardo vigile della guardia indigena e la guida spirituale dei medici tradizionali, attraverso rituali di liberazione e di purificazione del territorio.
Obiettivo della mobilitazione è, spiegano le organizzazioni indigene, “l’avvio di un percorso verso un nuovo Paese senza trattati di libero commercio, senza terrore di Stato, senza guerra”, “con una vera democrazia” che permetta a los de abajo, quelli che si trovano in basso, di esercitare collettivamente il diritto di decidere sulle sorti del proprio Paese, definendo un modello di sviluppo alternativo a quello simbolizzato dal Trattato di libero commercio con gli Stati Uniti. Proprio sul Tlc con la Colombia, peraltro, Bush sta giocando le sue ultime carte da presidente, al punto da arrivare a proporre ad Obama lo “scambio” di cui ha parlato tutta la stampa Usa: un piano di rilancio dell’economia e di aiuti all’industria dell’auto in crisi in cambio dell’approvazione del Tlc con la Colombia finora avversato dai democratici. Ma se l’approvazione dell’accordo di libero commercio è a rischio, non meno incerto è il futuro del Plan Colombia, il piano concepito nel 1999 dai presidenti Andrés Pastrana e Bill Clinton con il pretesto di combattere il narcotraffico, ma in realtà servito al governo colombiano per scatenare una guerra spietata contro le Farc: con la crisi finanziaria che ha travolto gli Stati Uniti, sarà difficile che l’amministrazione Obama possa garantire al Plan Colombia l’ingente supporto finanziario assicurato dal presidente Bush.
Prove di dialogo
E mentre i popoli indigeni marciano verso Bogotà, riprende forza all’interno della società civile colombiana l’idea di un dialogo pubblico tra le organizzazioni sociali e le Farc, al fine di raggiungere un accordo umanitario per la liberazione dei sequestrati nelle mani della guerriglia e dei guerriglieri nelle mani dello Stato e di facilitare per questa via una soluzione negoziata al conflitto. La proposta, contenuta in una lettera inviata l’11 settembre al segretariato delle Farc da un centinaio di personalità del mondo politico e culturale colombiano sotto la guida della senatrice Piedad Córdoba, è stata accolta positivamente dall’organizzazione guerrigliera che, in una lettera di risposta, ha assicurato una partecipazione al dialogo franca e convinta, “senza dogmatismi né settarismi”, riaffermando la propria disponibilità all’accordo umanitario.
Sul versante governativo, invece, grande impatto ha prodotto lo scandalo dei cosiddetti “falsos positivos”, come viene definito l’aumento vertiginoso di esecuzioni extragiudiziali commesse dai militari allo scopo di assicurarsi i premi e gli incentivi generosamente elargiti dal governo, nel quadro della politica di “sicurezza democratica”, per ogni perdita inflitta alla guerriglia o alle organizzazioni criminali. Una commissione interna delle forze armate ha infatti accertato il coinvolgimento di 27 militari, tra cui tre generali (tutti destituiti), nel sequestro e nell’assassinio di alcuni giovani della periferia di Bogotà, condotti in aree rurali e lì uccisi in falsi scontri con l’esercito, per poi essere registrati come componenti di gruppi criminali e sepolti in fosse comuni. Secondo un rapporto del “Coordinamento Colombia Europa Stati Uniti”, che riunisce Ong impegnate nella difesa dei diritti umani, dall’avvio della politica di sicurezza democratica nel giugno del 2002 fino al giugno del 2007, si sono registrati 955 casi di esecuzioni extragiudiziali, più 235 casi di sparizione, il 68% in più rispetto ai 5 anni precedenti. E sì che, nel giugno del 2007, Uribe, respingendo ogni ipotesi di collusione dell’esercito con gruppi paramilitari, aveva deplorato che “ogni volta che si infligge una perdita alla guerriglia, si mobilitano i suoi corifei nel Paese e all’estero per dire che si è trattato di un’esecuzione extragiudiziale”. (claudia fanti)

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