mercoledì 26 marzo 2008

Chirurgo di pace



Manuel Rozental è un Nasa, scomodo perché colto e impegnato nel sociale. Per questo è costretto in esilio

Peacereporter


Scritto per noi da Simone Bruno

Due anni fa ricevetti una telefonata di una amica giornalista: bisognava scrivere, e molto velocemente, un articolo su Arquimede Vitonas, sindaco di Toribio, un municipio del Cauca, del sud Ovest della Colombia. Arquimedes era scomparso, probabilmente sequestrato.

Arquimedes è un Nasa, la popolazione indigena più numerosa e più organizzata del paese. Quel sequestro sembrava molto strano, per le modalità e per il ruolo rivestito da Arquimedes, tanto che in un primo momento pensammo a un coinvolgimento dell’esercito. Erano state invece le Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Poi tutto si risolse bene grazie alla potente macchina organizzativa indigena: centinaia di uomini della tradizionale guardia indigena camminarono una notte intera fino all’accampamento guerrigliero e, senza violenza, si riprendesero in modo pacifico il loro sindaco.

Ma questa, anche se molto bella, è un’altra storia. È comunque la storia che mi fece entrare per la prima volta in contatto con Manuel Rozental. Mentre scrivevo l’articolo, e successivamente dopo mentre lo facevamo girare, il mio contatto con il popolo Nasa era questo ragazzone dall’età indefinita, spropositatamente alto, ma con uno sguardo serio e gentile allo stesso tempo. I capelli nerissimi e arruffati e un paio di occhiali poggiato sbadatamente su un naso piuttosto importante. Una di quelle persone con cui ci si intende facilmente e che ti sembra di conoscere da sempre. Un ragazzo timido in apparenza, ma assolutamente risoluto e diretto quando si tratta di organizzare, modesto, al punto che tutto quello che ha fatto è difficile ascoltarlo da lui, ma lo metti insieme parlando con le varie persone che lo conoscono. Parla poco ma fa tanto.

Come molti dei suoi amici, mi sento in dovere di far sapere cosa succede a Manuel e di riflesso cercare di spiegare questo paese complesso, violento e ammaliante dove mi ritrovo a vivere. Manuel è nato a Cali, la città nota per la salsa e per il suo “cartello della droga”. Una città tipica colombiana, con la parte ricca della popolazione adagiata sulla pianura e con i poveri e gli emarginati sparpagliati sulle montagne attorno, ammassati in bettole di latta, fango e calcinacci.

Durante gli anni 50, a Caracas, in Venezuela, il dittatore Perèz Jimenez decise di costruire un enorme quartiere popolare e fece edificare 38 mostri di 15 piani, per un totale di quasi 10.000 appartamenti. Così, quando proprio in quel periodo, la vicina Colombia venne colpita da un forte terremoto, Jimenez decise di far costruire uno di questi mostri anche nella Cali semi distrutta. A Cacaras i 38 edifici presero il nome di “barrio 23 de Enero”, uno dei quartieri più combattivi e organizzati della città, mentre a Cali il mostro solitario ha visto nascere Manuel, lo ha guardato diventare attivista politico durante gli anni di Medicina e poi chirurgo.

Essere un “attivista politico” in Colombia non è mai stato un lavoro facile, spesso bisogna raccogliere le proprie cose al volo e scappare. A volte arriva una voce: “Vogliono farti fuori”; altre volte te lo dicono direttamente “Meglio che te ne vai con le tue gambe fino a che sei in tempo”, ma in ogni caso il messaggio è lo stesso: fuggire. La diversità dei modi dipende da chi stai infastidendo e col tempo impari anche a distinguere le minacce reali da quelle false. Ma sempre è un gioco rischioso.

È passato più di un anno da quando i Nasa hanno detto a Manuel “Van a venir por ti”. Era una minaccia reale. Già lo cercavano per farlo fuori. Da quel momento Manuel è di nuovo in esilio, in Canada. Perché è dai primi anni ottanta che di tanto in tanto è costretto a lasciare la sua città, il suo paese, i suoi progetti. Quando vivi come Manuel devi avere sempre uno zaino pronto con il necessario, perché non sai mai quando sarai costretto ad andartene di nuovo. E quando lo devi fare, devi correre.
Poche persone hanno l’esperienza maturata da Manuel nel campo del diritto alla salute e delle organizzazioni indigene. Sono innumerevoli gli enti dove ha prestato servizio e lavorato. Uno fra tutti il suo impegno all’Onu per far riconoscere l’approccio alla salute delle comunità indigene. Fu un lavoro che portò alla prima consultazione da parte dell’Onu delle comunità indigene e che sfociò in una risoluzione successivamente approvata. Questo è solo un esempio di come la vita politica e lavorativa di Manuel non siano mai state realmente separate e di come i suoi studi si concilino con il suo impegno e la sua passione: gli indigeni dell’America tutta.

Ha fondato e diretto molte organizzazioni di cooperazione internazionale, dato appoggio a comunità minacciate, lavorato in ospedali, visto i sistemi di salute pubblica smantellarsi a colpi di prestiti del banco mondiale. Ha fondato organizzazioni per impedire la privatizzazione della salute in tutto il continente, incontrato i più importanti leader indigeni e lavorato con loro. Poi nel 2003 chiamato dai Nasa è tornato alla sua Cali, a occuparsi di pianificazione, educazione e comunicazione.

La seconda volta che l’ho incontrato stava pianificando quella che è stata una delle marce più grandi in Colombia contro il governo di Alvaro Uribe Velez. Sessantamila indigeni a piedi per sessanta chilometri sotto un sole equatoriale che coceva la testa e i piedi. Ma fu un esempio di efficienza, con le donne indigene che di giorno in giorno costruivano accampamenti su terreni abbandonati e cucinavano per tutti, per poi riposare sotto tende di plastica e fiumi che tagliavano il paesaggio offrendo acque generose per bagnarsi e refrigerarsi.
Un popolo umiliato da 500 anni che veniva accolto dagli studenti in festa al loro arrivo a Cali. Bambini, vecchi, donne, professori, gente che scendeva in strada per cantare e batter le mani al loro passaggio. Un impatto enorme sull’opinione pubblica che consacrava il movimento Nasa come il movimento leader nelle lotte sociali.

Manuel deve tornare in Colombia. Questo è il suo posto. È con i Nasa che deve stare. Deve poter vivere qui senza paura di essere ucciso, senza uno zaino pronto nell’armadio. È importante che riesca a passare le sue esperienze e il suo aiuto pratico agli indigeni giovani e disorientati.
Il governo colombiano deve difendere le persone come Manuel, eppure sembra più preoccupato a difendere i corrotti e gli assassini, persone come l’attuale console di Milano. Ebbene sì, Milano ospita Jorge Noguera, ex capo del Das (polizia segreta Colombiana al servizio del presidente) che è accusato di connessioni con il paramilitarismo e in special modo con uno dei comandanti, Jorge40, al quale avrebbe passato una lista di 24 persone tra attivisti politici e leader comunitari da eliminare e puntualmente fatti fuori. Personaggi come Manuel che danno fastidio ai poteri forti e che vengono quindi eliminati dallo Stato, usando i metodi della guerra sporca, servendosi del peggior paramilitarismo che mai conosciuto da questo continente. Uomini come il console di Milano sono il tramite tra il potere e il braccio armato, tra il potere e gli assassini, i sicari, buoni per far fuori i personaggi scomodi e per racimolare voti come i 300.000 che con una frode elettorale il signor Noguera, quando era direttore del Das, ha fatto arrivare nel bottino elettorale durante l’elezione che ha portato Alvaro Uribe Velez a essere l’attuale presidente del paese.

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